Abbiamo visitato un campo Yazidi, proprio al centro di Erbil, dove sarebbe dovuto sorgere un giardino. Incontriamo condizioni di vita disumane e racconti di sofferenza e morte, madri che hanno perso i propri figli, e lo raccontano con la rassegnazione di chi accetta il fato come ineluttabile. Ma noi non possiamo accettare la rassegnazione, non possiamo arrenderci.
L’aver ottenuto un riscontro molto positivo dalla ricerca di situazioni di grave necessità degli sfollati, che abbiamo impostato in collaborazione con ACTED, un organismo inglese del team dell’UNHCR, ci ha fatto andare a fondo sulla situazione degli sfollati Yazidi, che finora nessuno, nelle stanze ufficiali delle compagini umanitarie, aveva posto come argomento da valutare a fondo.
Ieri, la visita alla località abitata dagli Yazidi, ha portato in evidenza il fatto che l’accampamento é in atto da oltre tre mesi, é stato visitato da fonti governative per una volta ma dimenticato dalla grande famiglia delle Nazioni Unite. Intanto la locazione é particolare. Si tratta di un’area recintata da un elegante muro, al centro di Erbil, che era destinata a diventare un giardino, a corollario di un enorme palazzo di lusso, vicino al Divan Hotel, uno degli alberghi 5 stelle più rinomati di Erbil. Un cortile segnato da fabbricati in parte demoliti e altri mezzi distrutti.
L’incontro con il portavoce della comunità è stato subito molto interessante visto il piacere suo di vedere persone interessate alla loro condizione. Un primo incontro con gli uomini della comunità ha permesso di definire i nostri motivi di interesse verso di loro e il rapporto si è avviato in modo efficace e sereno.
Le donne intorno continuavano a curare i loro lavori con una curiosità non invadente per carpire la novità della nostra visita. Intanto oltre la raccolta dei dati sono emerse cose che segnano la vita di questo gruppo di persone che vive in condizioni veramente al limite sotto ogni profilo.
L’ambiente: i fuochi contro i muri all’esterno delle “case” alimentato da spezzoni di legna della carpenteria dismessa del cantiere disastrato in cui vivono, grandi pozze d’acqua tutt’intorno dovute alle piogge di questi giorni, emersione di pavimenti di piastrelle residui delle demolizioni delle case per fare spazio al grande giardino del palazzone in cemento non finito, in vista dei 30 piani dell’Hotel Divan a 5 stelle con camere da 750 dollari per notte.
Bambini di ogni età in giro ogni dove, alcuni anziani, alcune donne incinte e ogni cosa in movimento lento che abbiamo man mano interrogato dopo l’incontro con gli uomini della comunità.
La decisione assunta è stata di sopperire immediatamente con latte in polvere per gli infanti e pannolini, anche se forse sono da considerare un lusso per la situazione vista e, ancora, due fornelli a tre fuochi e due piastre a gas per l’acqua calda in modo da sopperire alla necessità del cuocere o dello scaldare l’acqua. Mentre i racconti delle storie si snodavano con la serenità di chi accetta il fato come cosa ineluttabile.
La mamma di Ranak Kero, una bambina di 3 anni, ci dice che sua figlia é annegata poco tempo fa in una delle grandi fosse del cantiere ancora aperte, vicine alla casupola in cui vive con altri bambini. Giocava ed è caduta annegando dentro la fossa che ancora adesso è riempita d’acqua, con dentro ammassi di ferraglie, senza ripari, un cantiere dismesso per la cessazione dei lavori su l’immenso palazzo che sovrasta l’area abitata da questa comunità.
Baran Dervash, vittima di un bombardamento nella città di Shangal
E, ancora, la mamma di Baran Dervash, una bella ragazza ventenne di cui vedete la foto negli allegati, ci racconta la sua storia che ancora evidentemente la sta facendo soffrire. Vivevano sui monti Sinjar nella città di Shangal, che era stata appena occupata dalle milizie ISIS e per questo subiva bombardamenti. Uno degli ordigni cadde vicino, una bombola di gas scoppiò, BARAN, ferita, viene portata subito all’ospedale. L’ospedale era stato appena occupato dagli ISIS, che hanno rifiutato di curarla, e lei e la figlia vengono brutalmente respinte. Baran muore poco dopo nel rientro a casa; “io ho usato miei vestiti per rivestire mia figlia che è stata subito portata lontano e sepolta ..” ci dice la mamma “..ma abbiamo capito che bisognava scappare”.
Da quel momento 10 giorni sono trascorsi in cammino sulle montagne insieme con il gruppo. “Mancava l’acqua, é stata una prova dura, al limite della sopportazione ..” continua la donna, “.. le scarpe sono finite e abbiamo avvolto i piedi con indumenti per arrivare in Siria a piedi”. Ma l’odissea non era finita. I trasferimenti ulteriori del gruppo sono stati diversi, il rientro in Iraq presso la città di Zako, vicino al confine con la Turchia. Era estate e con un autobus di aiuti i componenti del gruppo sono approdati in Erbil, dove, appena arrivati, hanno occupato quest’area del cantiere dismesso, nel cuore signorile della città, con un muro di cinta elegante, dentro, un ambiente residuato di lavori di abbattimento di strutture precedenti. Era Agosto e i fabbricati ancora con mura solide sono stati completati con coperture di emergenza: teli, assi, lamiere, e sono diventati le abitazioni di questo gruppo di famiglie Yazidi, composto da oltre un centinaio di persone, naturalmente i bambini i più numerosi.
L’ultimo atto della visita del giorno di ieri é stato il chiedere cosa poteva servire, dopo aver messo insieme, nel pomeriggio, la fornitura urgente del latte in polvere, dei pannolini per gli infanti e dei due fornelli a gas per la cucina e per l’acqua, che abbiamo subito provveduto, spinti dalla necessità di essere utili in qualche modo: “servirebbero altri sei fornelli ..così le donne possono tutte fare cucina in modo separato” é stata la risposta a voce bassa. Questa sera le otto cucine dell’accampamento Yazidi vicino all’Hotel Divan sono accese con il gas, una modernità che mancava da mesi.
Ci sono altri insediamenti Yazidi inclusi in aree non facilmente individuabili a prima vista, quasi pudicamente coperti per non disturbare, ma ora sappiamo che abbiamo un nuovo ambito da curare nelle nostre distribuzioni delle cose mancanti e continueremoa sollecitare le istituzioni a fornire le l’indispensabile per far fronte all’immensa emergenza legata al freddo e alimenti soprattutto, mentre noi faremo la nostra parte.
Abbiamo visto mancare molte cose. Sceglieremo solo quelle che loro considereranno più utili per cercare di riprodurre in qualche modo la normalità che vediamo essere molto semplice per loro. E nessuno parla di rientro, neanche pensabile per la città da cui provengono. Certamente abbiamo ora nuovi amici con cui dialogare.