AVVENIRE - Erbil, il grande freddo minaccia gli sfollati - Emergenza KURDISTAN

L’acqua calda ormai non se la aspetta più nessuno. Ma la pompa, che risale per i tre piani di Ankawa Mall, spesso si inceppa anche per quella fredda. È così per ore ed ore, tutti i giorni ormai, con i due generatori sul ciglio della strada inspiegabilmente fermi. Una muta disperazione, ad accrescere l’ansia di quelle 406 famiglie – più di 1.600 persone – stipate nella torre di cemento grezzo dove da settembre opera stabilmente il team Focsiv. È un calvario psicologico che prosciuga a poco a poco, ma inesorabilmente, la «capacità di resistenza ». Ricostruire esistenze, ridare fiducia, trovare un lavoro con l’umiltà e la pazienza degli artigiani della pace: sono partiti quasi sempre da qui i volontari internazionali della Focsiv che oggi in Vaticano, in occasione della Giornata mondiale del volontariato, sarannoricevuti in udienza da papa Francesco.

Intanto a Erbil, capitale del Kurdistan, se non ci fosse l’animazione per i ragazzi, o il torneo di calcio, le giornate sembrerebbero passare tutte nel nulla. Se qualcosa accade, pare essere sempre al peggio: come quando ad Ankawa Mall è squillato un telefono e un miliziano dello Stato islamico ti dice: «Perché non torni e ti fai musulmano? Potrai tornare e starai bene con noi». Telefonate di scherno o di minaccia da Qaraqosh, schiacciando alla rinfusa nella memoria di un cellulare trovato in una casa ormai vuota da quattro mesi. Una enormità il passato da cui si scappa. Il futuro, ad ogni colloquio, si infrange sulla solita, ossessiva domanda: «Quando torniamo?» Un pesantissimo “giorno per giorno”, mentre la notte, la colonnina di mercurio scende abitualmente al di sotto dei sei gradi, sfiorando già lo zero nelle vicine montagne di Dohuk. Da più di un mese, nei palazzi, la parola d’ordine è «winterizzazione»: il piano per l’inverno che preme. Due settimane fa il governo di Baghdad, riconquistata la raffineria di Baiji, ha deciso di inviare più di 3milioni di litri di carburante nella regione autonoma del Kurdistan. Questo mentre si moltiplicano riunioni nelle sedi Onu, a Baghdad e a Erbil, per stilare un piano anti-freddo da 173milioni di dollari. Rapporti e tabelle, che non sembrano impattare quasi per nulla nella disperata quotidianità dei profughi.

La promessa del governo è di dare 50 litri di carburante ad ogni famiglia censita. Ma ad Ankawa Mall, come in tutta Erbil, il carburante nessuno l’ha visto, e se arrivasse nessuno saprebbe come impiegarlo. Le stufe a kerosene, ricuperate da chissà dove, sono vietate nell’ex centro commerciale in costruzione perché troppe pericolose. Domenica a Basirama, in una tenda in fiamme, è morto un piccolo disabile di due anni; venerdì, in un incidente analogo a Sulaymanyah, le vittime del fuoco sono state sei. Da quasi tre settimane, ad Ankawa Mall, si aspetta un generatore autonomo per dare potenza all’impianto elettrico a cui poter collegare le stufe elettriche.

Nella speranza che i black-out giornalieri cessino, l’intervento della Focsiv e delle altre Ong è l’unica presenza continua e visibile. Di ieri è la notizia che il Programma alimentare mondiale ha interrotto per «mancanza di fondi» la distribuzione di cibo a 1 milione 600mila profughi siriani in Giordania, Libano, Turchia, Iraq ed Egitto. Così l’“elemento mancante”, pensato per integrare le forniture di base di governi e Onu, è l’unica risposta all’inverno. Nei primi due mesi il progetto “Emergenza Kurdistan” di Focsiv eAvvenire ha raggiunto più di 5.300 sfollati (di cui 1.800 minori) in 10 differenti centri raccolta. Oltre all’animazione dei piccoli e al torneo di calcio settimanale per 80 ragazzi, sono già stati recapitati kit igienicosanitari a donne e bambini per un valore di 4mila euro; quasi la stessa cifra è stata spesa per recapitare 250 giacconi, coperte e calze. Per sostenere famiglie con disabili gravi si sono pagati affitti per 3mila euro mentre, assieme a nuove coperte e giacconi, tutti nei campi ora aspettano il latte in polvere.

Certo, si lavora per portare servizi, portare i pacchi, il gas, far giocare i bambini, ma questo «non basta più» spiega Terry Dutto, responsabile di “Emergenza Kurdistan”. «Bisogna tentare qualcosa che dia bagliori di speranza, che faccia vedere la luce in fondo al tunnel ». Ma come? «Parlando con quelle persone che vengono a dirti ogni cosa, anche se non sanno chi sei, la lista si snoda dal cibo, al freddo, al latte, al gas. Per finire sempre con la domanda: quando torniamo? » L’animazione per i ragazzi si è ora arricchita anche della proiezione del film: «Ma è l’aggressività dei bambini che ti colpisce più di tutto». Lo stesso disagio che si respira negli stanzoni maleodoranti dove, di notte, il rimbombo dei lamenti, assieme al freddo, toglie il sonno.

Certo si possono comprare «i pannolini per i bambini e le mamme, i giacconi per gli uomini, i maglioni, il latte in polvere per gli infanti, ma come si fa a costruire speranza per questa immensa umanità in sofferenza?» In queste situazioni, continua Dutto, «si parla di resilienza come qualità umana da alimentare con azioni che diano almeno la sensazione che esiste intorno qualcuno che può risolvere almeno i problemi più immediati del sopravvivere. Ma senza luce, senza acqua neppure quella fredda, nello scuro notte e giorno non é proprio vita».

Poi una sera, finito lo spettacolo per i bambini, la notizia è come una scossa. Savio Raad, 20 anni, uno degli animatori migliori del team ti fa sapere: «Ho deciso con mio padre di arruolarmi nei peshmerga curdi. Aspetto che mi chiamino per l’addestramento». Quando non c’è, il futuro lo si vuole rubare.

In due mesi sono state raggiunte 5.300 persone in 10 campi: sono stati distribuiti kit igienico-sanitari per 4mila euro, giacconi e coperte per lo stesso ammontare e pagati gli affitti per i disabili. «Tutti ora aspettano il latte in polvere»

LUCA GERONICO

IN FUGA

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