I nostri continui spostamenti da un’area all’altra del Paese ci permettono di cogliere, al di là dei dati ufficiali, la nuda realtà delle cose: saper interpretare i mutamenti del contesto sociale, amministrativo, politico e militare risulta indispensabile per intercettare ciò che le famiglie sfollate stanno vivendo in privato.
Resta necessario conoscere ora per ora le vicende, mai pienamente positive ma almeno rassicuranti, dell’attacco alla città di Mosul, che permetterebbe alle famiglie sfollate di tornare nelle aree da loro abitate fino all’agosto del 2014. È amaro constatare che si prevedono oltre 500.000 nuovi sfollati prima della fine dell’anno, cioè prima che l’attacco a Mosul dia i risultati positivi che gli sfollati attuali si aspettano.
Vale la pena riportare alcune testimonianze raccolte nella società della Piana di Ninive, comprendente le città di Qarakosh, Bertalla e altre collocate nell’area amministrativa di Mosul; testimonianze molto diverse fra loro a seconda delle famiglie da cui provengono, o, per meglio dire, a seconda della diversa estrazione sociale di tali famiglie.
Da un capo famiglia che era membro del partito Baath, titolare di un’attività privata nel sistema sanitario, risulta chiara la volontà di rientrare a casa, nella certezza di poter ricostruire in pieno la propria personalità e la capacità di essere un elemento utile per la comunità intorno a sé. Questo nonostante la pressione di una parte della sua famiglia allargata che gli propone di andare via, verso una collocazione ignota in Australia o Nuova Zelanda.
Il pensiero di un altro giovane capo famiglia, che vende frutta e verdura aggirandosi col suo furgone tra le case di Ainkawa, è di segno esattamente opposto:”…. In Qarakosh non ho casa, almeno qui ho un container con acqua, gabinetto e luce … gratis, per questo non tornerò.”
Sono molte le famiglie che ancora non hanno chiara la scelta sul da farsi; chiedono rassicurazioni, supportate dal contesto internazionale, in molti casi comunque si tratta di capire se le case di questi sfollati sono ancora utilizzabili o se sono tra quelle distrutte o inagibili.
A queste titubanze si aggiunge la preoccupazione verso i vicini di casa di altre appartenenze religiose, che un tempo consideravano amici, mentre oggi sono motivo di paura e incertezza, tanto da abbandonare l’idea di tornare a casa.
Negli incontri con le famiglie avuti nei giorni di festività islamica della fine del Ramadan, abbiamo capito meglio anche le sensazioni delle famiglie recentemente spostate dal campo di stalli denominato ASHTY 1. Lo spostamento dal campo messo insieme nel novembre 2014, costruito con pannelli, è stato imposto verso case disponibili sul mercato con l’affitto assicurato dalla Chiesa Caldea almeno per un anno, ma con il limite della coabitazione di una famiglia per ogni stanza delle case affittate.
Un anno non può certo assicurare la completa stabilità, ma può permettere, alle migliaia di persone che ora versano in condizioni di grave incertezza, di ragionare meglio su cosa fare del proprio futuro; prospettiva ora ostacolata da un sentimento di precarietà che, anche psicologicamente, pesa come un macigno.
L’aggiornamento sulle attività sostenute e su quelle da proporre, o riproporre, rimane il punto fermo del nostro impegno qui; un impegno da affrontare giornalmente, consapevoli di imprevisti e variabili che, inevitabilmente, insorgono nella programmazione degli eventi. Intanto anche il trasferimento della nostra struttura costruita nell’asilo dell’area Ashty 1 procede, e presto sarà il luogo di nuove attività e prospettive a servizio della grande comunità del campo Ainkawa 2.
Il campo di container Ainkawa 2 è ormai diventato una cittadina di 6.000 persone con negozi e servizi, ed è grande il fermento dei mestieri di ogni genere realizzati in estensioni estemporanee dei container.
La nostra presenza in questo campo è ormai una realtà consolidata; rilanciamo il ringraziamento ai nostri donatori non solo a nome delle famiglie del campo Ainkawa 2, ma anche di altre, esterne, con cui abbiamo instaurato rapporti costanti: sono anzitutto loro, grazie alla loro generosità, che rendono possibile costruire e rafforzare rapporti umani.
Terry