«Noi ci siamo». Se lo ripetono sempre più spesso, quasi come un saluto, fra i container debordanti di umanità, pozzanghere e proteste, nella baraccopoli di Ankawa. «Majadun», noi ci siamo. Nel quarto o quinto container, dentro il primo dei quattro capannoni, c’è anche Nasser Abib, fabbro di 42 anni con moglie e tre figli scappati, come tutti, il 6 agosto da Qaraqosh.
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