Sale la tensione qui ad Erbil. Si acuiscono timori e condizioni di stress in attesa dell’imminente e paventato attacco della coalizione e dei peshmerga per la liberazione di Mosul e delle aree ancora occupate dall’ISIS. La situazione si fa sempre più drammatica.
L’attenzione resta altissima. Di contro il sistema umanitario comincia ad entrare in sofferenza, non riuscendo più ad assicurare un adeguato intervento di aiuti umanitari.
Le comunità degli sfollati sono in costante aumento, e molte persone rimangono bloccate fuori dalle maggiori città quali Bagdad, Kirkuk, Erbil.
Purtroppo il verificarsi di condizioni di promiscuità dovute al formarsi di migliaia di sfollati, come quelli bloccati al ponte Bix Bridge sulla strada Ramadi-Bagdad, e non servito da impianti minimali di emergenza, ha favorito il nascere e l’espandersi del colera. Un’epidemia che man mano sta interessando tante località: nove casi a Erbil, due casi a Dohuk, sette casi a Kirkuk, altri casi a Najaf, Falluja, Babilonia, nel sud dell’Iraq, per un totale di circa oltre 1900 contagi.
Da più di un mese le Nazioni Unite stanno ponendo l’attenzione a chè gli interventi umanitari vengano estesi in tutto l’Iraq, sulla scorta di quelli realizzati finora nella Regione Autonoma del Kurdistan. Anche se, purtroppo, contemporaneamente vengono sensibilmente ridotte le disponibilità finanziarie in grado di sostenere distribuzioni e allestimento di nuovi campi; in assenza delle quali risulta difficile programmare la gestione di servizi di breve, medio e lungo periodo. Tale condizione di indeterminatezza ha riflessi drammatici per la massa di sfollati che “vaga” senza meta nelle strutture di emergenza fatte di tende e di container e il più delle volte prive di forniture di acqua, energia e fognature.